Con l’andare del tempo si scopre che gli uomini sono dei meccanismi talmente complessi, che tante volte agiscono indipendentemente dalla loro volontà. Allora finisci per trovare poco merito nella virtù e ben poca colpa nell’errore. Se estendi questo tipo di indulgenza anche a te stesso, riesci ad avere un rapporto meno contrastato con il tuo prossimo. La cosa curiosa è che l’avevo capito fin da quando avevo vent’anni e scrivevo cose come “se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo”.
Questa frase è di Fabrizio De André e se c’è un cantautore o un autore di canzoni che si è costantemente, in maniera più o meno palese, occupato di giustizia, questo è proprio Fabrizio De André. Per il quale tale interesse non è episodico, ma talmente costante che non sembra eccessivo dire che il “senso di giustizia” rappresenti per lui una delle basi, se non proprio la base, di tutta la sua poetica.
Il primo “manifesto” della giustizia secondo De André è rappresentato dai versi finali di Città Vecchia, canzone che si occupa del piccolo mondo criminale dell’angiporto genovese, e cui faceva riferimento il cantautore nella citazione all’inizio:
Se tu penserai, se giudicherai
da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni
più le spese
ma se capirai, se li cercherai
fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo.
Ecco qui il codice giuridico deandreiano: se il delinquente è comunque una “vittima di questo mondo”, con quale autorità un giudice può condannarlo e punirlo?
Da qui deriva la contestazione e lo sberleffo verso chi la giustizia la amministra.