L’Amore, quello più profondo, quello che fa anche male, che sia Amore verso il prossimo, per il partner, per la Mamma, per Cristo. Sentito come corrisposto ma prepotentemente avvertito come una lama sottilissima, che può far soffrire.
È il 1990 e i CCCP hanno appena pubblicato il loro ultimo album: “Epica Etica Etnica Pathos”. All’interno è contenuto uno dei brani più famosi del gruppo punk rock, “Amandoti”, che risalta anche per la narrazione dell’Amore contrapposto al dolore, una forbice che per quanto tagli, non riesce a recidere il rapporto tra le due parti. Già dalla prima strofa è possibile riconoscere quanto sia difficile amare, “Qualcosa che assomiglia a ridere nel pianto”. Ma l’amore è anche consolazione e ricerca di protezione, come quando Giovanni Lindo Ferretti canta: “Amarti mi consola, le notti bianche, qualcosa che riempie, vecchie storie fumanti”.
Ma è nel ritornello che la canzone sembra diventare una preghiera, una supplica: “Amami ancora, fallo dolcemente, un anno, un mese, un’ora, perdutamente”.
Amarti m’affatica
Mi svuota dentro
Qualcosa che assomiglia
A ridere nel pianto
Amarti m’affatica
Mi dà malinconia
Che vuoi farci, è la vita
È la vita la mia
Amami ancora
Fallo dolcemente
Un anno, un mese, un’ora
Perdutamente
Amarti mi consola
Le notti bianche
Qualcosa che riempie
Vecchie storie fumanti
Amarti mi consola
Mi dà allegria
Che vuoi farci, è la vita
È la vita la mia
Amami ancora
Fallo dolcemente
Un anno, un mese, un’ora
Perdutamente
Amami ancora
Fallo dolcemente
Solo per un’ora
Perdutamente